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Gli evangelici: Qual è la differenza?

Storicamente, la fede evangelica è stata ben riassunta in cinque affermazioni che chiarendo il vangelo biblico, prendono le distanze dal pensiero della Chiesa romana. A chi mi chiede quali siano le differenze sostanziali tra la fede evangelica e quella cattolica, cito queste cinque affermazioni. Iniziano tutte con la parola “solo”.

Di Massimo Mollica

Benché la fede evangelica sia diffusa in tutto il mondo, è ancora poco conosciuta in Italia. Storicamente, la fede evangelica è stata ben riassunta in cinque affermazioni che chiariscono il vangelo biblico, prendendo le distanze dal pensiero della Chiesa cattolica romana. A chi mi chiede quali siano le differenze sostanziali, cito queste cinque affermazioni che iniziano tutte con la parola “solo”.

SOLA SCRITTURA (Sola Scriptura)

Come stabilisci a che cosa credi? In base a quale criterio consideri una cosa giusta o sbagliata? Sono principi che hai appreso dai tuoi genitori, dalle tue riflessioni sulla vita, dalla Chiesa o dalla società? Attingi dalla filosofia o dalla tua esperienza? Qualunque sia la fonte delle tue convinzioni, essa è de facto l’autorità a cui ti sottometti per la tua vita.

A queste domande un evangelico risponderebbe “Sola Scrittura”, perché la Bibbia è l’unica fonte di rivelazione divina. Perciò la Sacra Bibbia è l’unica autorità in ogni questione di fede e di vita pratica a cui dobbiamo vincolare la nostra coscienza.

La Chiesa romana sostiene, invece, che sullo stesso piano ci sono due fonti di rivelazione divina: la Sacra Scrittura e la Sacra Tradizione. Esse formano una triplice autorità insieme al Magistero della Chiesa. Tuttavia, non sono proprio alla pari, perché è il Magistero che stabilisce qual è la giusta interpretazione delle fonti di rivelazione divina, siano esse della Bibbia o della Tradizione. Il papa come capo della Chiesa fa parte del Magistero insieme ai vescovi. In questo modo, la Parola di Dio sembra essere sottoposta alla Chiesa.

Per la fede biblica, evangelica, è vero il contrario: ogni tradizione e dottrina, anche la Chiesa stessa, deve essere ricondotta alla Parola di Dio e deve essere scrutata e valutata alla luce della Bibbia, perché solo essa è ispirata da Dio. L’Apostolo Paolo afferma: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio” (2 Timoteo 3:16-17). L’Apostolo Pietro dichiara che nessuna parola della Bibbia “venne mai dalla volontà dell’uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo” (2 Pietro 1:21). La Bibbia ha origine in Dio, è il vero soffio divino; perciò, è infallibile e autorevole in tutto e per tutto. Questo fa della Bibbia l’unico strumento adeguato e sufficiente per distinguere ciò che è degno di fede da ciò che non lo è.

Dio non si è servito di secoli di tradizioni umane per definire la verità cristiana. Già nel primo secolo si poteva dire riguardo alla fede, intesa come credo cristiano, “è stata trasmessa ai santi, una volta per sempre” (Giuda 3). Dio la rivelò nella Sacra Bibbia. La tradizione, perciò, serve a spiegare la verità già esistente e consegnata nella Bibbia. Purtroppo, nel corso dei secoli, la Chiesa romana ha riconosciuto come rivelazione divina dottrine e credenze non conformi alle Scritture. Un’indagine approfondita della Bibbia rivela che il purgatorio, le indulgenze, i dogmi mariani dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione di Maria Vergine in cielo, la preghiera ai santi e l’infallibilità papale non sono confermate dalla Bibbia. Ma la Chiesa li approva appellandosi alla Tradizione. Gesù, invece, afferma che la parola scritta di Dio è l’autorità decisiva, ultima e finale al di sopra di ogni tradizione (Marco 7:1-13). La coscienza dell’uomo deve essere vincolata soltanto dalla Parola di Dio nella Sacra Bibbia perché solo in essa Dio ha rivelato come l’uomo può essere salvato e come deve vivere come cristiano.

SOLO CRISTO (Solus Christus)

Noi siamo separati da Dio. La Bibbia dichiara che la causa di questa separazione è la nostra disubbidienza a Dio, il peccato che corrompe interamente la natura umana. Ma chi può ristabilire la pace tra noi e Lui? Chi farà da mediatore fra noi e Dio?

Per tre motivi, basati sulle verità bibliche, un evangelico risponde: “Solo Cristo”.

Cristo è l’unico Salvatore del mondo

Per quanto popolari e seguiti possano essere i maestri e i fondatori di altre religioni, solo Gesù Cristo può salvarci dai nostri peccati. Egli dice: “Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre; se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6). Quest’unica via di salvezza è ribadita anche dall’Apostolo Pietro: “In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (Atti 4:12). Le parole di Gesù e degli apostoli non lasciano alcuno spazio al dubbio.

Cristo è l’unico sacrificio per i peccati

Siamo tutti d’accordo che chi commette un reato, dev’essere punito adeguatamente dalla legge. Altrimenti che giustizia è? Tutti abbiamo peccato contro Dio (Romani 3:23). In Lui non c’è nulla di imperfetto o di male. Egli è giusto, perciò non può ignorare o sorvolare il peccato. Sarebbe come se lo approvasse. La pena del peccato è la morte (Romani 6:23), l’eterna e definitiva separazione dal Creatore.

C’è un solo modo per essere perdonati da Dio senza che Egli violi la propria giustizia: qualcuno deve essere condannato per i nostri peccati. La Bibbia dice che “senza spargimento di sangue, non c’è perdono” (Ebrei 9:22). Solo Cristo, innocente e moralmente perfetto, che non doveva morire per le proprie colpe, ha potuto sostituirsi a noi e sacrificarsi al nostro posto. L’Apostolo Paolo lo esprime così: “Dio mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5:8). La morte di Gesù ha placato completamente l’ira giusta di Dio contro il nostro peccato. La sua risurrezione è la prova che Dio ha accettato il suo sacrificio e che Lui ha sconfitto la morte, cioè la pena del peccato.

La Bibbia dice chiaramente che il sacrificio di Cristo è unico, sufficiente e perfetto e non deve essere ripetuto (Ebrei 7:25-27). Il suo valore è eterno: “Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio” (1 Pietro 3:18). La Chiesa romana, però, sostiene che il sacrificio di Cristo viene ripresentato nel rito dell’eucaristia nella Messa. Però, se il sacrificio di Gesù si ripresenta nella Messa, come fa ad essere veramente unico?

La Chiesa romana sostiene anche che chi muore nella grazia, vale a dire un fedele, deve scontare le pene temporali dei propri peccati nel purgatorio. C’è da domandarsi, allora, se sono necessari ulteriori sofferenze nell’aldilà, il sacrificio di Gesù è stato davvero sufficiente?

Cristo è l’unico mediatore fra Dio e l’uomo

L’Apostolo Paolo scrive: “C’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo” (1 Timoteo 2:4). Uno solo. Quando un evangelico dice “Solo Cristo,” sta affermando che nessun altro al di fuori di Gesù è qualificato per fare da mediatore tra l’uomo e Dio, perché solo Gesù ha in sé la pienezza di Dio e allo stesso tempo è veramente uomo. È il Figlio di Dio incarnato, il Dio-uomo.

La Chiesa romana, invece, afferma sé stessa come mediatrice, insieme a Cristo, sostenendo che non vi è salvezza al di fuori della Chiesa. La Madonna è altrettanto considerata una mediatrice fra l’uomo e Dio e i santi canonizzati intercedono per quelli che sono rimasti sulla terra, offrendo i loro meriti.  La Chiesa romana sostiene che Maria e i santi aiutano il fedele ad avvicinarsi a Cristo. La fede evangelica invece vede un grande pericolo nell’aggiungere e nell’affiancare questi alla mediazione e all’intercessione di Cristo. Si corre il rischio di togliere sostanzialmente qualcosa da Lui, oscurando la Sua gloria. Lo sguardo di fede, che deve essere fissato solamente e semplicemente su Cristo, rischia di diventare uno sguardo di fede annebbiata da Maria e dai santi. La fede evangelica afferma la sufficienza dell’intercessione di Gesù, come la Scrittura dice, “Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro” (Ebrei 7:25).

SOLA FEDE (sola fide)

Cosa bisogna fare per essere salvati e avere la vita eterna? La Bibbia è chiara: “Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato” (Atti 16:31). Anche il peggior peccatore può ricevere il perdono da Dio e diventare giusto davanti a Lui se pone la sua fede in Cristo: “L’uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge” (Romani 3:28). Benché colpevoli di aver trasgredito la legge di Dio, Egli, in quanto nostro Giudice, ci giustifica o ci dichiara giusti, senza alcuna opera o merito da parte nostra. Né la nostra bontà né le nostre opere sono coinvolte nella salvezza dell’anima. È donata gratuitamente a chi crede in Cristo Gesù, in quello che Egli ha compiuto morendo sulla croce al posto nostro. La morte di Gesù aveva questo scopo: Dio lo ha punito come se Lui avesse commesso i nostri peccati per poter dichiarare giusto il peccatore, come se avesse vissuto la vita perfetta di Gesù. L’Apostolo Paolo spiega “a chi non opera ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede è messa in conto come giustizia” (Romani 4:5). Lo scambio dei nostri peccati con la giustizia di Cristo può avvenire attraverso la fede soltanto. Avere fede non significa riconoscere la mera storicità della persona di Gesù Cristo. Significa piuttosto credere nel suo sacrificio fino al punto di dipendere totalmente da Lui per la salvezza dell’anima. È una fiducia personale in Gesù Cristo.

Qui veniamo alla differenza principale tra gli evangelici e la Chiesa romana. La Bibbia dichiara esplicitamente che “è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti” (Efesini 2:8-9). La Chiesa romana, pur affermando l’importanza della fede, insiste che il sistema sacramentale, insieme alle opere e alla carità, aiuta il fedele a meritare la vita eterna. La fede biblica, invece, è quando il peccatore abbandona ogni speranza nei propri sforzi per confidare in Cristo. Senza questo tipo di fede, non c’è salvezza. La fede evangelica si chiede quanto l’enfasi della Chiesa romana sul sistema sacramentale e sulle opere sia compatibile con l’insegnamento biblico sulla salvezza per sola fede, senza le opere.

SOLA GRAZIA (Sola Gratia)

Come abbiamo visto, non esiste cosa alcuna che tu possa fare per meritare la salvezza. Dio non è in debito con nessuno e non è obbligato a salvare i peccatori. La salvezza è per sola grazia.

Mentre “sola fede” parla dell’affidarsi solamente a Cristo per il perdono, “sola grazia” sottolinea il carattere immeritato e gratuito della salvezza. La grazia di Dio è il suo amore verso di noi, peccatori indegni. È basata esclusivamente sul suo carattere pietoso. Per grazia Egli ha provveduto alla salvezza per noi mandando suo Figlio Gesù Cristo a morire sulla croce. Persino la fede è un dono di Dio, come è stato già citato: “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio” (Efesini 2:8).

La Chiesa romana sostiene che la grazia è la capacità conferita da Cristo all’uomo di fare opere attraverso le quali lo aiuta a meritarsi la salvezza. Questa grazia è incanalata per mezzo di sacramenti, elemosine, penitenze, preghiere a Maria e agli altri santi. Per mezzo di questa grazia incanalata, l’uomo accresce i propri meriti. In questo modo, l’uomo partecipa alla propria salvezza.

È un concetto che segna una divergenza notevole tra gli evangelici e i cattolici. La Bibbia afferma che l’uomo non può collaborare con Dio per guadagnarsi la salvezza, perché è morto nei propri peccati e incapace spiritualmente (Efesini 2:1). L’unica speranza dell’uomo è che Dio abbia pietà di lui e intervenga per grazia. Ed è proprio quello che Egli fa: “Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo, è per grazia che siete stati salvati” (Efesini 2:4-5). Senza alcun merito, l’uomo è salvato per sola grazia.

Quando affermiamo che la salvezza è per “sola fede” e per “sola grazia” non intendiamo negare o sminuire l’importanza dell’ubbidienza a Dio. Intendiamo piuttosto dire che le nostre opere di ubbidienza non hanno alcun merito salvifico, e che sono il frutto dell’opera dello Spirito Santo nella vita del credente, come scrive l’Apostolo Paolo: “Infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini 2:10).

SOLO A DIO LA GLORIA (Soli Deo Gloria)

La frase “Solo a Dio la Gloria” dà rilievo alla verità che il fine per cui Dio salva peccatori è per la Sua gloria e per nessun altro. Quando si aggiungono tradizioni umane alla Parola di Dio, mediatori a Cristo, opere alla fede e un sistema sacramentale alla grazia, la conseguenza inevitabile è che l’uomo e la Chiesa si prendono il merito della salvezza, minimizzando la gloria che è dovuta a Dio soltanto. Questo pericolo si osserva quando la Chiesa romana affianca al culto di Dio la venerazione di Maria e dei santi. Benché la Chiesa romana dica che non si adorano i santi e le loro immagini, ma si venerano, questa distinzione appare forzata e non trova alcun precedente nella Bibbia. Il Salmo 115:1 dice: “Non a noi, o SIGNORE, non a noi, ma al tuo nome da’ gloria”. Solo Dio ne è degno perché la salvezza è interamente opera sua (Apocalisse 19:1).

Sola Scrittura. Solo Cristo. Sola Fede. Sola Grazia. Solo a Dio la Gloria. Queste cinque frasi esprimono le cinque differenze più importanti tra gli evangelici e i cattolici. Sono da considerare profondamente perché definiscono il vangelo biblico, rivelatoci nella Bibbia da Dio, l’unico in grado di garantire la salvezza a chi crede.

I pastori della Lux Evangelica sono sempre disponibili per approfondire questi argomenti insieme, con spirito di amicizia e di ricerca onesta. Ci farebbe piacere parlarne con te e sapere cosa ne pensi. Se hai voglia di approfondire l'argomento scrivici un'e-mail a info@luxevangelica.org

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L’insidia della tradizione degli uomini (Marco 7:1-13)

La questione “tradizione” viene a galla ogni qualvolta ci domandiamo perché facciamo ciò che facciamo per poi rispondere: “abbiamo sempre fatto così.” I farisei, quegli avversari instancabili del nostro Signore al tempo del suo ministero terreno, erano tradizionalisti per eccellenza. Ma, qual era il problema con il loro genere di tradizione?

DI MATTHEW JOHNSTON

La parola tradizione rievoca ricordi di momenti festivi: gli spaghetti allo scoglio di Ferragosto o una passeggiata di Pasquetta. Però, essendo creature abitudinarie, il nostro amore per la tradizione non si limita alle consuetudini familiari bensì s’estende all’ambiente religioso. La questione “tradizione” viene a galla ogni qualvolta ci domandiamo perché facciamo ciò che facciamo per poi rispondere: “abbiamo sempre fatto così.”

I farisei, quegli avversari instancabili del nostro Signore al tempo del suo ministero terreno, erano tradizionalisti per eccellenza. Aderirono scrupolosamente al “la tradizione degli antichi” (Marco 7:3) per arrivare ad essere accettati davanti all’opera di Cristo. Intorpiditi dalla tradizione, anziché meravigliarsi davanti al fatto che “tutti quello che toccavano [Gesù] erano guariti,” (6:56), si preoccupavano della purezza delle mani dei suoi discepoli (7:3-5). Difatti, Gesù riservò le sue parole più severe per questi formalisti: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti...guide cieche...siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia” (Matteo 23:13, 16, 27).

Ma, qual era il problema con il loro genere di tradizione?

TRADIZIONE E RIVELAZIONE

Gesù non lascia che si intreccino minimamente il comandamento di Dio e la tradizione degli uomini (Marco 7:8, 9). Una tradizione è dunque, perlomeno secondo l’ottica biblica, qualsiasi insegnamento non rivelato nella Scrittura, sia prassi sia dottrina. È vero che una tradizione possa presentarsi come un’applicazione legittima della Scrittura. Però, una tradizione continua ad essere utile solo fintantoché si radica nella Scrittura, riconosce l’unicità della sua autorità e rispecchia il suo insegnamento in modo equilibrato. L’insidia della tradizione si manifesta quando si annebbia la netta distinzione tra la tradizione degli uomini e la rivelazione di Dio. Perciò, Gesù riconosce una sola fonte autorevole: la Parola di Dio (vedi ad es. Matteo 4:4; 5:17; Giovanni 10:35).

La tradizione farisaica non si sviluppò da un giorno all’altro e nel primo secolo si accumularono centinaia di regole che componevano “la tradizione degli antichi” (Marco 7:3, 5). La tradizione era ideata come una siepe per salvaguardare la Legge di Mosè (rivelazione). In altre parole, recinsero la Parola di Dio con la tradizione per assicurarsi di non mai violarla. Flavio Giuseppe, il noto storico giudaico del primo secolo, spiegò che “I farisei trasmisero al popolo certe leggi ereditate dai padri le quali non sono scritte nella legge di Mose” (Antichità giudaiche, 13:297). Erano appunto non messe per iscritto e, pertanto, non facevano parte delle Scritture.

Questa tradizione, che girava oralmente nel primo secolo, venne raccolto nella Mishnah all’inizio del terzo secolo. La Mishnah contiene un intero trattato sulle mani (Yadiam). Basta un assaggio per accorgersi della pedanteria dei suoi precetti: Un lavacro rende pure le mani solo se c’è la quantità giusta (1.2), versata dal contenitore giusto (1.4). È vietato versare l’acqua dai lati di una barocca crepata (1.2). Un uomo non può unirsi le mani a forma di coppa per versare acqua sulle mani di un altro uomo (1.2). Le mani diventano impure ogni volta che toccano qualcosa di impuro, ad esempio viveri, vestiti, e vasi (3.1). Infatti, “Tutte le Sacre Scritture rendono le mani impure” (3.5).

Volente o nolente, le aggiunte possono snaturare la cosa a cui vengono aggiunte. Forse ci vuole un’illustrazione culinaria. Quando smette una pizza di essere una pizza margherita? Quanti ingredienti si devono aggiungere prima che non si possa più chiamarla margherita? La siepe farisaica invadeva ciò che doveva proteggere. Le applicazioni umane della Legge divina hanno assorbito la Legge divina, risucchiando l’intenzione dell’Autore originale, soffocando la grazia di Dio e lasciando soltanto un legalismo ipocrita.

Come possiamo intendere la gravità del pericolo della tradizione degli uomini?

IL DANNO DELLA TRADIZIONE DEGLI UOMINI

(1) La tradizione degli uomini maschera la condizione del cuore (Marco 7:6)

Rimproverando i farisei, Gesù riportò le parole del profeta Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me” (Marco 7:6). La frase di Isaia si trova in un contesto di giudizio contro il guscio vuoto del formalismo in voga all’epoca in Israele. La tradizione degli uomini maschera la vera condizione del cuore perché aderendosi ad essa ci si convince che ci sia pace, mentre pace non c’è. L’esteriorità placa la conoscenza e fa si che ci si senta vicini a Dio, però non si è spinti a confidare in Dio perché non esige nulla se non ciò che si può fare con le proprie risorse. In altre parole, non ci si deve sbarazzare della propria autonomia: si può seguire Dio confidando in sé stessi. La tradizione umana non può attingere al cuore. È il cuore che conta perché esso è il vero io; il nucleo centrale della nostra esistenza. L’esortazione di Salomone tramette la stessa concezione: “Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita” (Proverbi 4:23). Benché lo si consideri spesso il luogo dell’emozione, nell’uso biblico la parola “cuore” abbraccia altresì la mente e la volontà: la mente in quanto si pensa nel cuore e si comprende con il cuore (ad es. Macro 2:6; Matteo 13:3), e la volontà in quanto si desidera nel cuore (ad es. Salmo 36:4; Matteo 6:21) e si crede con il cuore (ad es. Romani 10:9).

Per di più, è il cuore che importa a Dio. “L'uomo guarda all'apparenza, ma il SIGNORE guarda al cuore” (1 Sam. 16:7; cfr. Matteo 22:37). Ciò ci risulta problematico poiché “Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa e insanabilmente maligno” (Geremia 17:9). Infatti, nel paragrafo seguente (Marco 7:14-23) Gesù spiegherà che non l’esterno può rendere l’uomo impuro agli occhi di Dio perché il suo cuore è già impuro. E la sua impurità, vale a dire la sua peccaminosità, è dovuta alla condizione del suo cuore.

La gente si lascia felicemente intrappolare nella tradizione degli uomini perché, così facendo, non deve affrontare la realtà dell’immondizia che dimora nel suo cuore. Al meglio, la tradizione degli uomini provvede una specie di effetto placebo, ma le Scritture sole può trasformare il cuore (2 Timoteo 3:16-17; Ebrei 4:12).

(2) La tradizione degli uomini vanifica l’adorazione del Signore (Marco 7:7-8)

La tradizione degli uomini distorce il nostro culto. Gesù, citando ancora il profeta Isaia, dice: “invano mi rendono culto” (Marco 7:7). La loro adorazione era vacua e frivola. Poi, la frase successiva spiega la fonte della loro futilità: “insegnando dottrine che sono precetti di uomini” (Marco 7:7). I loro insegnamenti non erano che concezioni umane e opinioni mondane.

Il Signore non accoglie qualsiasi forma di adorazione. Solo Dio stesso può dirci come Dio vuole essere adorato. La tradizione degli umani rischia sempre di produrre presunzione anziché adorazione. La sincerità non può compensare l’insegnamento sbagliato e la dedizione serve a poco se si indirizza verso la meta sbagliata. L’adorazione che Dio riconosce è sempre una risposta sottomessa alla sua autorivelazione. Perciò, Il Signore annuncia: “Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola” (Isaia 66:2).

Le aggiunte dei Farisei erodevano l’unicità della rivelazione di Dio, mettendo in discussione la sua efficacia e la sua rilevanza nella forma in cui era stata originariamente elargita. Non potevano veramente onorare Dio perché in fondo pensavano di saper meglio di lui. Non si può innalzare qualcuno e mettere in dubbio la sua capacità di comunicare nello stesso momento: è una contraddizione!

(3) La tradizione degli uomini rimpiazza la Parola di Dio (Marco 7:9-13)

Pur essendo nata per motivi nobili, questa sorta di tradizione finisce per rimpiazzare la rivelazione di Dio. Tali tradizioni tendono a moltiplicarsi e l’esempio invocato da Gesù era soltanto un assaggio di una problematica molto più vasta (vedi v. 13: “Di cose simili ne fate molte”). Moltiplicandosi e man mano mettendo radici nella mente della gente, queste tradizioni offuscano il confine tra tradizione e rivelazione.

Le parole del nostro Salvatore sono sia chiare sia decisive: “Avendo tralasciato il comandamento di Dio, vi attenete alla tradizione degli uomini” (v. 8), “come sapete bene annullare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione” (v. 9) e “annullando così la parola di Dio con la tradizione che voi vi siete tramandata” (v. 13). Insomma, c’è un nesso tra l’abbandonare la Parola divina e l’abbracciare la tradizione umana. Si deve lasciare il comandamento di Dio per poter fare spazio alla tradizione degli uomini.

Se ci si trova a fare la spesa al supermercato e i cestini sono finiti e si è senza moneta per il carrello, si prova a portare il più possibile in braccio. Ma si deve scegliere. I farisei i gli scribi scelsero la tradizione degli uomini e pertanto non c’era spazio per la Parola di Dio. Dovevano rinunciare all’una per avere l’altra.

In fine, Gesù fornisce una prova palese che la loro tradizione aggrediva la Parola invece di proteggerla (Marco 7:11-12). Egli cita il quinto comandamento (Esodo 20:12; Deuteronomio 5:16) e Esodo 21:17 dove la sua serietà viene ribadita. In questo caso la tradizione è degenerata trasformandosi in una scappatoia per fuggire la responsabilità davanti a Dio. Crearono un modo per “donare a Dio,” disubbidendo alla Parola di Dio. Quest’è la logica della tradizione degli uomini: Onoriamo Dio ignorando ciò che ha detto.

Il farisaismo si è estinto? Era un problema che affliggeva soltanto la chiesa antica?

3 RIFLESSIONI FINALI

  1. La legittimità di una tradizione non può essere presunta. L’insegnamento del nostro Signore sulla tradizione non ci autorizza ad abbracciare ciecamente qualsiasi tradizione. Dobbiamo sempre analizzare ogni insegnamento alla luce della sua fedeltà alla Parola di Dio (Atti 17:11). La cosiddetta cattolicità di una tradizione importa solo se si radica nella Parola di Dio. Nel primo secolo quasi tutti i giudei caddero in preda del legalismo dei farisei (Marco 7:3) e i farisei erano portavoce dell’ufficiale entità religiosa. Non si può dare per scontato che una tradizione sia legittima soltanto perché vanta tanti aderenti. Solo la Parola di Dio (rivelazione) è sempre un’autorità legittima.

  2. La soggettività è l’inevitabile prodotto della confusione tra tradizione e rivelazione. A volte i Padri della chiesa si contraddicono. Un papa può essere accusato di eresia da altri papi (Onorio I) e ci furano periodi in cui non si sapeva chi fosse il papa, perché ce ne erano diversi (vedi ad es. il concilio di Costanza). L’unica speranza di oggettività è la sola Scrittura perché non è mescolata e distorta con pensieri umani (2 Pietro 1:20-21). Chiunque può sostenere di essere ispirato dallo Spirito Santo. Però, si conosce lo Spirito della verità perché concorda sempre con i libri scritti dagli apostoli (1 Giovanni 4:6) che erano ispirati dallo Spirito Santo (Giovanni 14:26). Non si può dimostrare che una dottrina o una pratica è d’origine apostolica tranne nella misura in cui ciò può essere confermato dagli scritti apostolici, ossia il Nuovo Testamento.

  3. L’unicità dell’autorità della Parola di Dio deve essere sempre protetta. I protestanti non sono contro i Padri della chiesa e la tradizione che trasmisero (ad es. nel suo capolavoro, Istituzione della religione cristiana, Calvino citò Agostino centinaia di volte). La tradizione di per sé è inevitabile. La vera domanda è: “come la trattiamo?” Ci si deve chiedere se le parole di Cristo lascino spazio per una tradizione che si ritiene autorevole quanto la Scrittura (vedi ad. es. Il Concilio di Trento, Sessione IV; Il Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 2.10; Il catechismo della chiesa cattolica, 2.2.82).

Che Cristo ci elargisca la grazia di guardarci bene dal lievito della tradizione degli uomini (vedi Marco 8:15), custodendo la distinzione tra rivelazione divina e tradizione umana.

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