Calvino sul tesoro della preghiera
L’uomo è “sprovvisto di ogni bene” e pertanto dobbiamo uscire da noi stessi per cercarlo altrove. Ci rivolgiamo a Dio perché “per mezzo della preghiera abbiamo accesso alle ricchezze che Dio ci dà.” In Gesù Cristo il credente ha “una fonte traboccante” di benedizioni e dobbiamo attingerne per mezzo della preghiera.
“Riconoscere Dio come signore, autore e distributore di tutti i beni, che ci invita a richiederglieli” senza rivolgerci a lui in preghiera è un’assurdità totale. “Sarebbe anzi come se qualcuno disprezzasse e lasciasse sepolto e nascosto sotto terra un tesoro, di cui gli fosse stata resa nota l’esistenza.” Calvino ci aiuta a diseppellire il tesoro della preghiera con quattro regole nel suo capolavoro, Istituzioni della religione cristiana.[1]
1. “La nostra mente ed il nostro cuore devono essere deposti come si addice a coloro che entrano in conversazione con Dio.” Quando ci distraiamo, dobbiamo concentrarci nuovamente nella preghiera. Non possiamo pregare “con spensieratezza, e con superficialità, come se Dio fosse quasi nulla per noi.” In altre parole, dobbiamo essere toccati “dalla maestà di Dio” per pregare come si conviene.
2. Quando preghiamo dobbiamo sentire “del continuo la nostra indigenza e povertà, ed essendo veramente persuasi che abbiamo bisogno di tutto quel che chiediamo, uniamo alle nostre richieste un ardente desiderio.” Il credente deve assumere “lo stato d’animo e la disposizione di un povero mendicante.” Chi si dispone a pregare, si ravvede dei suoi peccati affinché quando chiede che il nome di Dio sia santificato, ha “sete e fame di questa santificazione.”
3. “Tutti coloro che si presentano davanti a Dio per pregare abbandonino ogni idea di gloria propria e si svestano di ogni concetto della propria dignità; lascino ogni fiducia in sé stessi rendendo, nella loro umiltà, tutta la gloria a Dio per non vacillare, dinanzi al suo volto, con la loro vana presunzione.” Chiediamo che agisca non per la nostra giustizia ma per amore del suo nome (Daniele 9:18, 19). “Tutta la fiducia di ottenere da Dio quel che gli chiediamo poggia unicamente sulla sua santa clemenza, senza considerazione alcuna per il nostro merito.”
4. “Pur sentendoci veramente umiliati, avremo tuttavia il coraggio di pregare sperando con fermezza di essere esauditi.” Questo coraggio è possibile solo per coloro che hanno “conosciuto la sua clemenza e bontà attraverso la predicazione dell’Evangelo.” Il credente deve pregare nel nome di Cristo seguendo “i gradini delle sue promesse” chiedendo “con fede, senza dubitare” (Giacomo 1:6).
Veniamo sempre meno al nostro dovere nella preghiera. Siamo mancanti nella preghiera perfino nei nostri giorni migliori. Però, il nostro “balbettare è tollerato da Dio, ed egli perdona anche” le nostre mancanze. Sapendo che Dio è pronto ad ascoltare le nostre preghiere imperfette in Cristo, dobbiamo imparare a pregarlo come si deve, pregando sempre di più. Che queste quattro regole di Calvino ci siano utili a tal fine.
[1] Tutto l’articolo è adattato da Giovanni Calvino, Istituzione della religione cristiana, III.XX.1-16 (a cura di Giorgio Tourn, UTET: 2009, p. 1014-1042).