Evangelizzazione e sovranità di Dio
Di Matthew Johnston
La sovranità di Dio nella salvezza non ostacola l’evangelizzazione bensì la rinvigorisce. L’apostolo Paolo era disposto a sopportare ogni cosa per evangelizzare (2 Tim 2:10) proprio perché era convinto che la salvezza “non dipende dunque né da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che fa misericordia” (Ro 9:16).
“La salvezza viene dal Signore” (Giona 2:9) ma il Signore si compiace di usarci come strumento per donare la salvezza ad altri peccatori immeritevoli. Dobbiamo seminare la Parola di Dio (Marco 4:14), ma le nostre forze non sono in grado di giustificare la crescita di questo seme (Marco 4:26-29). Insomma, dobbiamo seminare e annaffiare ma è Dio che fa crescere (1 Corinzi 3:6). Evangelizzazione e sovranità di Dio, il classico libro di J. I. Packer, riassume il rapporto tra la sovranità di Dio e la nostra responsabilità con le seguenti parole:
“Se da un lato dobbiamo sempre ricordare che è nostra responsabilità proclamare la salvezza, dall’altro non dobbiamo mai dimenticare che è Dio che salva…La nostra opera evangelistica è lo strumento che egli impiega a questo fine, ma la potenza che salva non è nello strumento, ma nella mano di Colui che lo usa” (Packer, Evangelizzazione e sovranità di Dio, p. 26).
Capire la sovranità di Dio nella salvezza ci libera dal peso schiacciante dell’idea errata che il frutto della nostra evangelizzazione dipenda da noi. Noi dobbiamo essere fedeli nel fare conoscere il vangelo ma la nostra fiducia deve essere posta nella potenza trasformatrice di Dio. Per di più, questa visione “dovrebbe produrre almeno tre effetti sulla nostra attitudine evangelista” (p. 97).
Dovrebbe renderci audaci: “Dovrebbe impedirci di essere scoraggiati quando scopriamo, come spesso accade, che la prima reazione delle persone al vangelo è quella di scrollarselo di dosso mostrando apatia o perfino disprezzo…Prima di diventare cristiani, il vostro cuore si trovava in una condizione ancora peggiore di quella attuale e nonostante questo Cristo vi ha salvato e questo dovrebbe bastare a convincerci che egli può salvare chiunque…Se voi ed io crediamo nella sovranità della sua grazia, non dovremmo mai scartare nessuno ritenendolo senza speranza e al di fuori della possibilità di Dio” (pp. 97-98).
Dovrebbe renderci pazienti: “Dio salva a suo tempo e non dobbiamo supporre che lui abbia la stessa nostra fretta. Dobbiamo ricordarci che siamo figli del nostro tempo che pretende risultati immediati…La nostra è un età che tende a lavorare superficialmente; ci dà fastidio impiegare del tempo per fare le cose a fondo…Quando non vediamo una risposta immediata, diventiamo impazienti, ci scoraggiamo, iniziamo a perdere interesse trovando inutile spendere più tempo con loro…Siccome si tratta di un lavoro in cui non ci vengono promessi risultati immediati, il fatto che non si ottengano risultati subito, non è un segno di insuccesso. È un lavoro anzi, in cui non possiamo sperare nel successo se non siamo pronti ad essere perseveranti con le persone” (98-100).
Dovrebbe indurci alla preghiera: “La preghiera è una confessione di impotenza e di bisogno, un riconoscimento di impossibilità e di dipendenza, un’invocazione dell’efficace potenza di Dio affinché faccia lui quel che a noi è impossibile fare…È solo perché egli è in grado di dare alle persone un nuovo cuore che noi possiamo sperare che, attraverso la nostra predicazione del vangelo, i peccatori nasceranno di nuovo…Dio ci spingerà a pregare prima di benedire i nostri sforzi, affinché possiamo costantemente e di nuovo imparare, che dipendiamo da Lui per tutte le cose. E poi, quando Dio ci permetterà di vedere delle conversioni, non saremo tentati di ascriverle ai nostri talenti, alla nostra abilità, alla nostra sapienza, alla nostra forza di persuasione, ma all’opera sua soltanto, sapendo così chi dovremo anche ringraziare” (pp. 98-101).